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Angelica Edna Calò Livné racconta agli studenti la situazione in Israele e porta un messaggio di pace e di speranza

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Invitata per un tour in varie città italiane per spiegare cosa succede veramente in Israele al di là della rappresentazione mediatica non sempre veritiera, Angelica Edna Calò Livné, insieme al marito Yehuda Livné, la scorsa settimana si è fermata una giornata intera alla Scuola Ebraica di Milano per incontrare gli studenti e raccontare loro la propria esperienza in questo terribile periodo di guerra.

La fondatrice di Beresheet Lashalom

Romana, Angelica Calò Livne, detta Edna, vive da molti anni in Israele, nel Kibbuz Sasa, ed è una “costruttrice di pace”: nel 2001 ha costituito la Fondazione Beresheet Lashalom, il cui scopo è educare alla pace i giovani di diverse etnie, religioni e tradizioni attraverso le arti, e in particolare il teatro. Con Beresheet Lashalom Edna ha infatti portato in giro per il mondo spettacoli messi in scena da ragazzi israeliani ebrei, cristiani, musulmani e drusi, ma anche palestinesi, giordani, egiziani, sempre prodigandosi per il dialogo e la conoscenza reciproca.

L’incontro con i bambini della primaria

Il contenuto degli incontri era calibrato in base all’età degli studenti: Edna e Yehuda hanno cominciato con i bambini della primaria in mensa durante l’ora di pranzo. Edna ha spiegato loro cos’è un kibbutz e raccontato che Sasa è a pochissima distanza dal confine con il Libano. Introdotta dalla morà Diana Segre, ha interloquito con loro facendo domande e rispondendo ai loro interrogativi. In parole semplici ma efficaci ha raccontato anche di Beresheet Lashalom: «Pensate che tanti anni fa ho creato un teatro di ragazzi ebrei e arabi insieme per la pace, e questi ragazzi sono tutti amici, si vogliono più bene che mai, sono come fratelli. L’unico desiderio che abbiamo è che ci sia sempre la pace in Israele. Voi che ne dite?». Edna si è poi soffermata su alcune delle invenzioni israeliane: la chiavetta USB, la app di navigazione Waze, la videocapsula endoscopica per la diagnostica non invasiva (spiegata chiaramente a misura di bambino).«Israele lavora tutto il tempo per fare regali al mondo» ha concluso.

Con le superiori il tema della guerra

Il tema della guerra e dell’esperienza di guerra è stato affrontato più direttamente con i ragazzi delle superiori, riuniti in aula magna. Presentata da Milo Hasbani, Edna ha spiegato la difficile situazione nel nord di Israele, dove molti kibbutzim e moshavim sono stati duramente colpiti: «Il nostro kibbutz Sasa in questi ultimi tre mesi è stato bombardato più volte. Delle 500 persone che ci abitano ne sono rimaste adesso solo 30, gli altri sono stati evacuati. Mio marito Yehuda è rimasto perché è il responsabile della sicurezza, e io sono rimasta con lui. I miei quettro figli maschi sono al fronte, a Gaza» ha detto. «La nostra speranza è di ricostruire tutto com’era e di ricreare le cose meravigliose che Israele ha sempre dato al mondo».

Il teatro per conoscersi e dialogare

Edna ha poi raccontato loro da dove è nato il progetto Beresheet Lashalom: «Vent’anni fa, durante la seconda Intifada, Israele è stata vittima di un gran numero di attacchi terroristici. Abbiamo dunque pensato di dover fare qualcosa per costruire un dialogo. Il nostro kibbutz è vicino a un villaggio arabo-musulmano, a un villaggio druso, a un villaggio circasso, a un villaggio di arabi cristiani. Così abbiamo deciso di fare una cosa che a quel tempo sembrava pazzesca: mettere insieme tutti questi ragazzi per fare teatro, perché attraverso il teatro si conoscessero e si parlassero. E in questi vent’anni sono successe cose meravigliose».

Israele deve combattere, ma la pace è necessaria

Yehuda, nato a Sasa, ha raccontato invece che fin da bambino ha conosciuto il pericolo di essere vicino al confine, con gli attacchi dal Libano, le sirene, il rifugio. «In tutti questi anni non è cambiato quasi niente ed è una cosa molto triste per noi, che educhiamo alla speranza, lottiamo per avere un dialogo con i nostri vicini e siamo convinti che l’unico modo per vivere tranquilli sia fare la pace con i nemici che ci circondano». Dopo un excursus sulle guerre di Israele, Yehuda ha sottolineato: «Israele non può permettersi di perdere una guerra, perché non esisterebbe più. Non abbiamo niente contro i palestinesi ma contro Hamas, la Jihad e le organizzazioni terroristiche che stanno cercando di farci del male. La solidarietà è possibile: dopo il 7 ottobre, quando Sasa è stato evacuato, sono stati i nostri vicini dei villaggi arabi ad aiutarci a raccogliere le nostre mele». Si è poi soffermato su Hamas, i suoi tunnel, i suoi bambini educati all’odio, ma anche sui “regali” di Israele al mondo, sulla scienza e cultura israeliane, su come Israele mandi aiuti nel mondo per catastrofi naturali.

La resilienza ebraica e il coraggio di sostenere Israele

Ha concluso Edna: «Penso che gli ebrei abbiano il gene della resilienza, perché il popolo ebraico si piega ma non si spezza. E come l’araba fenice, dopo tre giorni rinasce dalle sue ceneri con piume ancora più belle. Noi abbiamo già cominciato a ricostruire e a preparare strategie per unire ragazzi diversi. Oggi in Italia molti hanno paura e non hanno il coraggio di prendere posizione contro ciò che alimenta l’antisemitismo. Spero che voi ragazzi abbiate sempre il coraggio e l’ottimismo, ma anche l’orgoglio di essere chi siete. Israele sta cercando di liberarsi dal terrorismo, che non è solo contro Israele e contro gli ebrei, ma contro tutto l’Occidente».

Con le medie la composizione di una scultura vivente

L’incontro con i ragazzi delle medie è stato un po’ diverso dagli altri. Edna e Yehuda hanno ripreso i temi precedenti, introducendo però questa volta un momento di teatro. Edna, spiegando ciò che di terribile succede in Israele, ha chiesto a cinque ragazzi di salire sul palco per creare una “scultura vivente” che rappresentasse ciò che pensano stiano vivendo gli israeliani. Un ragazzo componeva la scultura, guidando i compagni a prendere le posizioni desiderate. Ciò che ne è risultato era molto eloquente: paura, minaccia armata, dolore. Edna ha quindi chiesto che creassero un’altra “scultura”, che rappresentasse invece ciò che vorrebbbero avvenisse al più presto. Il ragazzo scultore ha quindi rimesso in posizione i compagni in una composizione di abbracci e strette di mano che hanno descritto come “trattato di pace”. «Attraverso il teatro», ha detto Edna, «riusciamo a far sentire alle persone qual è una data realtà. Riuscire a pensare e dire a voce alta qual è il desiderio dietro la scultura che avete composto è un bellisiimo auspicio affinché ciò possa accadere».

Claralinda Miano

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Alberto Jona Falco

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