La presidente dell’associazione Figli della Shoah Daniela Dana ha tenuto a metà marzo una lezione per gli studenti della secondaria di primo grado incentrata sulla persecuzione dei bambini ebrei durante la seconda guerra mondiale. Aliza Shore, allieva di terza, ha riportato le proprie riflessioni nello scritto che siamo lieti di pubblicare.
I bambini durante il periodo della Shoah
Oggi, mercoledì 13 marzo 2024, la presidente dell’associazione Figli della Shoah Daniela Dana ha spiegato a me e ai miei compagni delle terze medie come e cosa vivevano i bambini durante il periodo della Shoah.
Questo tema non era mai stato trattato dai professori ed era interessantissimo. Nessuno ci aveva mai spiegato cosa facevano e come vivevano i ragazzi della nostra età e anche più piccoli durante quel disastroso periodo, dalle leggi razziali fino alla fine della guerra. Daniela Dana ha iniziato il discorso suddividendolo in vari macro argomenti:
1) Identità
2) Casa
3) Amicizia
4) Istruzione
5) Famiglia
6) Gioco
7) Lavoro minorile
Chi sono? Ci si riferiva a tutti quei bambini che dovevano nascondere la loro appartenenza alla religione ebraica o cambiare nome per non essere denunciati e poi mandati ai campi di sterminio. Era facile insegnare a una ragazzina di 15 anni che doveva cambiare nome da Chaya a Carla, ma insegnarlo ai bambini piccoli era molto più difficile. Era una situazione molto difficile dal punto di vista psicologico sia per il genitore che per il figlio: il tuo nome e il tuo cognome definiscono chi sei.
Casa: tutti i bambini e le famiglie, in fuga per sfuggire alle deportazioni, non avevano più la loro casa: quel luogo caro a tutti, che ci fa sentire amati e coccolati. Spesso queste persone non rivedranno più la propria casa, un diritto fondamentale soprattutto per i bambini, perché la propria casa è uno dei luoghi che caratterizza ognuno di noi, dove passiamo ogni fase di crescita fondamentale: da neonato a bimbo, da bambino a ragazzino fino all’età adulta.
Amicizia: l’amicizia è uno dei doni più belli della vita: un vero amico è un dono che fa sentire tutti speciali e amati. Spesso, soprattutto per i bambini e i ragazzi, gli amici ci capiscono meglio dei nostri genitori. Durante il periodo della Shoah, nei ghetti e nei campi di concentramento o nei luoghi in cui si nascondevano, i bambini venivano privati dell’affetto della loro famiglia e si sentivano soli, ma alcuni avevano la “fortuna” di trovare un amico: più grande o più piccolo, e rare volte anche un animale: avevano qualcuno da amare e che li amava. Daniela Dana ci ha raccontato la storia di due ragazzi che erano migliori amici, deportati nel ghetto di Varsavia: quando si incontrarono nel ghetto dopo mesi che non si vedevano, si abbracciarono molto forte e le risate alleggerirono quel momento buio e triste della loro gioventù e divennero inseparabili.
Istruzione: spesso noi ragazzi di oggi non vogliamo andare a scuola e ci lamentiamo, ma le leggi razziali del 1938 che colpirono la gioventù ebraica furono vissute dai ragazzi di allora come una terribile ingiustizia. La scuola non è solo composta da verifiche, ma da amici, risate, lezioni di vita e tanto altro. Tantissimi sopravvissuti raccontarono il non aver diritto di andare a scuola come uno dei traumi peggiori della loro vita. Le comunità ebraiche, però, si seppero rialzare, organizzando scuole ebraiche. Anche nei campi di concentramento, e nei ghetti non si andava a scuola ma il mondo degli adulti cercò spesso metodi alternativi per seguire i giovani per aumentare la loro cultura e conoscenza, qualcosa che mai nessuno riuscirà a toglierti.
Famiglia: la famiglia durante quei tempi era spesso divisa in cerca di rifugio, nei ghetti o nei campi di concentramento, soprattutto gli adulti dai propri figli. Daniela Dana ci ha raccontato storie di genitori che provavano laddove era possibile di mantenere i contatti, come Sami Modiano che cercò di mandare alla sorella Lucia il proprio pezzo di pane sopra i fili spinati del campo, o bambini che correvano oltre i muri dei ghetti per rubare cibo da fuori per sfamare la propria famiglia. Anche avere solo un membro famigliare vicino a te era importante: si creava un legame che poi sarebbe rimasto a vita e un’unità così forte da diventare inseparabili.
Gioco: il gioco è un diritto fondamentale di qualsiasi bambino, svagare la propria mente per esplorare il non conosciuto. I bambini nei ghetti e nei campi e in clandestinità giocavano con ciò che avevano a disposizione: dalla cera di una candelina o dal disegnare qualcosa. Ciò ampliava la loro creatività e la esprimeva allo stesso tempo. Il disegno è stato importantissimo anche per elaborare e testimoniare cosa succedeva nei campi di concentramento e nei ghetti e in clandestinità, per ricordare (Zachor), un valore importantissimo ebraico ma anche importante per far sì che nel prossimo futuro questo non succeda mai più. Il disegno era anche un “metodo” utilizzato dai bambini per sfogarsi, divertirsi e provare a non pensare ad altro.
Lavoro minorile: il lavoro minorile fu una delle cose più atroci durante quel periodo nei confronti dei bambini; essi hanno il diritto di imparare e giocare e di non lavorare, mentre nei campi e nei ghetti venivano sfruttati e trattati come se fossero degli adulti abili e capaci di fare lavori pesanti. Ciò ha influenzato tantissimi bambini dell’epoca, che associarono il lavoro alla propria infanzia e vita.
Sono molto grata di questa lezione: mi ha fatto riflettere su come i bambini furono perseguitati durante la Shoah e privati della propria infanzia; mi ha fatto capire l’importanza della testimonianza e di come certe cose che io do per scontato per i bambini di quei tempi era un dono.
Aliza Shore, classe 3B