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A Scuola un team di psicologi dell’emergenza per aiutare ragazzi, docenti e famiglie a gestire le paure rafforzando la capacità di resilienza

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Turbamento per la guerra in Israele, paura per la recrudescenza dell’antisemitismo, ansia per il costante stato di allerta, insofferenza per i limiti imposti dalle misure di sicurezza: in questo periodo la Comunità ebraica, e in particolare ragazzi e bambini, sono sottoposti a un forte stress che deve essere affrontato e gestito.

Il team del professor Fabio Sbattella

La Scuola Ebraica di Milano, in collaborazione con la Comunità, ha quindi contattato un team di psicologi specializzati nella gestione dell’emergenze per avviare un progetto di supporto dedicato sia agli studenti sia alla comunità educante, cioè il personale docente e non docente e le famiglie. Il team è quello guidato dal professor Fabio Sbattella, psicologo e psicoterapeuta, docente all’Università Cattolica di Milano dove coordina un’unità operativa e di ricerca dedicata alla psicologia dell’emergenza e all’intervento umanitario.

Strutturare più solidamente la capacità della Scuola di gestire le emergenze

L’incontro di presentazione si è svolto mercoledì 15 novembre a Scuola, con la partecipazione di Sbattella; in platea, il segretario generale della Comunità Alfonso Sassun, l’assessore alle Scuole Dalia Gubbay, molti docenti e alcuni genitori. «Questo progetto è stato reso possibile da un donatore che intende rimanere anonimo», ha esordito nella sua introduzione il preside Marco Camerini. «In questo momento di emergenza la Scuola ha intrapreso molte azioni specifiche, dentro e fuori le aule scolastiche, mettendo in campo tutte le risorse, le competenze e le capacità di cui disponeva. Azioni che hanno funzionato bene e che hanno avuto un feedback molto positivo; tengo pertanto a precisare che il coinvogimento del professor Sbattella non nasce da un fallimento, bensì dall’esigenza di strutturare maniera più solida, più sicura, più competente e più a lungo termine la nostra capacità di gestire le emergenze dal punto di vista psicologico».

Un progetto di accompagnamento che durerà nove mesi

«Mi occupo di adolescenti, crisi di mezz’età, incidenti stradali, guerre e altre catastrofi» spiega Sbattella, che lavora anche con i profughi ucraini e altre popolazioni in emergenza. «Il fattore comune è il cambiamento improvviso, cui la mente umana fatica ad adattarsi cambiando comportamenti, azioni, visione del mondo: noi accompagnamo le persone in questa trasformazione psicologica evitando che si facciano troppo male». Dopo il 7 ottobre, gli insegnanti hanno segnalato al team del professore che fra i ragazzi c’è una forte proccupazione per i segnali di antisemitismo crescente, che vivono come un’ingiustizia (dopo il Covid) la richiesta degli adulti di limitare le proprie attività per prudenza e che c’è ora un 10% di popolazione scolastica arrivata da Israele con tutte le emozioni e le ansie che la guerra scatena. «Da qui l’esigenza della Scuola di una proposta specifica per il supporto psicologico, che articoleremo nell’arco di nove mesi, fino a giugno 2024».

Gli obiettivi del progetto psicologico

Gli obiettivi dell’intervento del team di Sbattella sono molteplici: aumentare le risorse per supportare psicologicamente le persone sotto stress, chiunque esse siano, condividere con genitori, insegnanti ed educatori le linee guida per fronteggiare le tensioni, l’incertezza e il pericolo, sviluppare insieme messaggi che aiutino a leggere la realtà e ad affrontare la sua complessità. «Inoltre», dice Sbattella, «vogliamo fare in modo che a Scuola ci sia un presidio permanente di competenze in grado di affrontare nel lungo termine aumenti della tensione, fatti gravi o eventi dolorosi e rafforzare lo sportello psicologico per creare ulteriori disponibilità ad ascoltare i ragazzi».

Come si struttureranno gli interventi

Gli psicologi si confronteranno periodicamente con il direttivo della scuola per monitorare la situazione, condurranno incontri con gli insegnanti, gli educatori, il personale di sicurezza e i genitori, e attiveranno momenti dedicati specificatamente agli studenti. «Per il momento abbiamo pensato di coinvolgere gli studenti dalla quarta elementare alle quinta superiore con incontri di gruppo nelle classi, ma valuteremo se offrire risorse direttamente anche ai bambini più piccoli o se lavorare con le educatrici sulle metodologie di gestione dell’emergenza psicologica» spiega Sbattella.

Dalla paura al coraggio: i temi chiave su cui lavorare

Su cosa si lavorerà? «La violenza, subita o assistitita, è un danno per la salute mentale», dice Sbattella. «L’impotenza sperimentata dalle vittime ha un impatto molto forte anche sulla salute mentale delle loro comunità. Il terrorismo fa guerra psicologica diffondendo immagini orribili che servono per impaurire, confondere e dividere il nemico. Una guerra che funziona perché turba le masse attraverso i mezzi di comunicazione. Per contrastarla è necessario rafforzare le risorse psicologiche di resilienza, individuali e di comunità, divenendo consapevoli dei rischi che si corrono. Riconoscere i rischi e i pericoli (che in ogni caso la vita ci mette di fronte) significa mettere in atto risorse per difendersi e per essere meno vulnerabili. E per ridurre i rischi occorre passare da una logica di sicurezza a una di protezione, cioè farsi carico della propria vulnerabilità e affrontarla in maniera responsabile proteggendosi l’un l’altro. Il coraggio è questo: non incoscienza, ma un atteggiamento interiore che deriva dalla consapevolezza del rischio e permette di affrontarlo mettendo in atto strumenti di difesa. Se educhiamo i ragazzi a evitare il pericolo li mettiamo sotto una campana di vetro; invece, bisogna educarli alla resilienza, cioè alla forza psicologica che permette di affrontare la minacce senza farsi (psicologicamente) troppo male. I ragazzi devono imparare ad affrontare le sfide della vita, essere consapevoli dei pericoli e assumersi una quota di rischio. Dalla paura al coraggio: questo il lavoro che faremo con loro» spiega Sbattella.

Il confronto con la platea

Molte le domande dalla platea di insegnanti e genitori, che hanno condiviso con il professore dubbi e incertezze. Uno dei punti cruciali emersi è se fosse compito della Scuola informare i bambini di quanto stava accadendo in Israele: la scelta è stata di non aprire con loro un discorso che spettava alle famiglie fare, ogni famiglia con il proprio vissuto, ma ci sono state opinioni contrarie che sostenevano che i bambini esposti a immagini e discorsi sulla guerra comunque ne parlavano con i propri compagni, e non parlarne a scuola significava non volere affrontare con loro la realtà. Il tema è cosa sanno i bambini, a cosa sono esposti, come si deve spegare loro quello che succede. «È molto importante ascoltare i bambini, mettersi di fronte alla realtà, alle loro domande e ai loro bisogni» ha risposto Sbattella. «Dobbiamo aiutarli a capire la realtà con il loro linguaggio e i loro strumenti, leggittimare le loro paure senza sovraesporli alla rappresentazione mediatica». Ma questo, conclude il professore, è solo l’inizio di un percorso di confronto che affronteremo insieme.

Claralinda Miano

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Alberto Jona Falco

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