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Una testimonianza contro la violenza di genere, gli studenti incontrano Valentina Pitzalis

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«Io sono l’emblema di tutto quello che voi non dovete accettare». È iniziato così, con una frase che da sola vale un manifesto, l’incontro che gli studenti delle quarte tecnico e scientifico hanno avuto con Valentina Pitzalis al Teatro La Creta durante l’evento #NONSOLO25 promosso dal Municipio 6 in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Un teatro pieno, cinque o sei scuole presenti, un silenzio che si è fatto via via più denso mentre Pitzalis raccontava la sua storia. Sopravvissuta nel 2011 a un tentativo di femminicidio da parte del marito, che l’ha cosparsa di cherosene e le ha dato fuoco, Pitzalis porta sul corpo e sul volto cicatrici profonde, e nella memoria lunghi mesi di ospedale: «Sentivo la pelle bruciare e volevo morire. Eppure ho capito che dovevo reagire e raccontare per aiutare altre persone».

Il controllo ossessivo che imprigiona

Agli studenti ha raccontato come tutto fosse iniziato: una gelosia all’apparenza innocua, poi il cellulare consegnato “per rassicurarlo”, i vestiti vietati, le scuse piangenti dopo ogni eccesso. «Con il senno di poi mi dico che ho sbagliato tanto», ha detto. «Ma quando sei isolata da tutti e non parli più con nessuno, non ti accorgi di quello che ti sta succedendo». Il marito la notte chiudeva a chiave la camera, toglieva la maniglia della porta e metteva sacchetti di plastica sul pavimento per sentire se si muoveva. Un controllo totale, una prigione domestica che lei aveva vergogna a raccontare. La sua non è stata solo una denuncia, ma una raccomandazione ai ragazzi: «Se anche solo sentite qualcosa di simile nelle vostre relazioni, non restate. Scappate subito».

Il femminicidio mancato e la rinascita

Pitzalis aveva provato a riprendere in mano la propria vita, lasciando il marito e trovando un lavoro, primo passo verso l’indipendenza economica. Ma dopo la separazione lui la perseguitava con telefonate incessanti, fino alla sera dell’aggressione. Con la scusa di firmare un documento, l’ha attirata in casa e le ha dato fuoco. Lui è morto soffocato, lei è viva per miracolo. Oggi la sua missione è educare al rispetto, smontare i meccanismi della violenza di genere, aiutare i giovani a riconoscere i primi segnali delle relazioni tossiche: «Non prendetemi come un’eroina, non lo sono. Prendetemi come un monito di ciò che non dovete accettare da nessuno».

Le reazioni degli studenti: incredulità, empatia, consapevolezza

La platea dei ragazzi ha ascoltato in silenzio. Qualcuno si è commosso. Tre studentesse della nostra Scuola hanno chiesto di salutarla, le hanno parlato, l’hanno abbracciata. «I ragazzi erano molto toccati, ma anche increduli» racconta la docente Francesca Caputo, che ha accompagnato le classi insieme a Carla Sleiter e all’educatore Rocco Carta. «Si chiedevano come tutto ciò abbia potuto succedere. I maschi, soprattutto, dicevano che la Pitzalis non avrebbe mai dovuto accettare neanche l’inizio di questa follia». Una reazione che mostra quanto il messaggio sia arrivato. Del resto, lei stessa ha rivendicato i suoi errori come un esempio da non seguire e, anzi, ha insistito con i ragazzi sull’importanza di parlare, di raccontare le proprie relazioni a qualcuno di fiducia. Raccontando si trova lo specchio dell’altro, e quello specchio può essere la salvezza.

Claralinda Miano

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Alberto Jona Falco

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