Un ragazzo di 24 anni, nato e cresciuto nel kibbutz Kfar Aza, che ha vissuto l’orrore del 7 ottobre uscendone vivo e che ora gira il mondo per raccontare cosa è successo, per parlare dei suoi migliori amici ancora tenuti in ostaggio a Gaza e per trasmettere un messaggio di speranza: «Ricostruiremo il nostro kibbutz, torneremo nelle nostre case, i nostri amici in ostaggio a Gaza torneranno. Con la forza e l’unione riprenderemo a vivere».
L’incognita della chiamata come riservista
L’incontro di Ido Fellus con gli studenti del triennio superiore si è svolto a Scuola il 24 settembre, introdotto dal preside Marco Camerini e alla presenza della presidente di Adei Wizo Italia Susanna Sciaky. Ido era stato infatti invitato a Milano dall’Adei per partecipare all’Adeissima, il grande evento annuale dell’associazione: «Fino all’ultimo momento non ero certa che sarebbe arrivato, perché è un riservista e se l’esercito lo avesse chiamato avrebbe dovuto unirsi al suo battaglione», ha detto Sylvia Sabbadini, la presidente di Adei Milano che ha proposto alla Scuola di fare incontrare Ido agli studenti, lo ha presentato e ha tradotto dall’ebraico tutto il suo intervento.
I progetti di Adei Wizo in Israele
Sabbadini ha ricordato che l’Adei Wizo aiuta quotidianamente tante famiglie e ragazzi in Israele: «Uno dei progetti in corso è a Sderot, la città vicina al kibbutz di Ido che è stata evacuata per mesi. Gli abitanti sono ritornati a marzo e da allora l’Adei Wizo ha riaperto i propri asili nido e la scuola, sta aiutando insegnanti e psicologi sostenendo i progetti per aiutare i ragazzi a superare i traumi di questa terribile situazione».
Il legame fortissimo fra i figli di kibbutz
Ido ha cominciato il suo racconto spiegando che in kibbuzt i bambini crescono con i loro coetanei, quasi come fratelli, e che il legame che si crea fra loro è indissolubile. A 18 anni vanno a vivere nel “quartiere dei giovani”, un insieme di casette – ognuno ha la sua – che a Kfar Aza è situato proprio accanto alla recinzione del kibbutz ed che è stato quindi la prima zona a essere attaccata.
Ore 6.30, comincia l’attacco
Di ritorno da Tel Aviv alle tre del mattino del 7 ottobre, Ido ha trovato il kibbutz, distante 800 metri dal confine con Gaza, addormentato e tranquillo. Alle sei e mezzo è cominciato l’attacco: esplosioni e spari come mai si erano sentiti nemmeno a Kfar Aza, che da anni è bersaglio di missili da Gaza. Ido e la sua famiglia si sono chiusi nella stanza sicura, dove sono rimasti per 24 ore con pochissimo cibo e pochissima acqua. «Dopo qualche ora dall’inizio degli spari, tramite i messaggi whatsapp, abbiamo capito che erano entrati in kibbutz dai 350 ai 600 terroristi di Hamas» ha raccontato. «Alle due del pomeriggio sono arrivati a casa nostra, hanno cercato di aprire la porta della camera sicura e, senza riuscirci, se ne sono andati. Io tenevo bloccata la maniglia, perché nel frattempo dai messaggi disperati degli altri membri del kibbutz avevamo capito che i terroristi entravano nelle case, uccidevano, saccheggiavano, bruciavano tutto».
Chiusi per 24 ore nella camera sicura
«Verso le otto di sera abbiamo sentito fuori dalla nostra porta risate, odore di caffè e di sigarette. Pensavamo fossero i nostri soldati, ma erano i terroristi, che per ore e ore sono stati nelle nostre case. Il kibbutz era ancora in mano loro e abbiamo pensato che quelli potevano essere i nostri ultimi minuti di vita. Poi abbiamo sentito raffiche di mitragliatrice ed esplosioni di granate: i nostri soldati erano arrivati e c’era una battaglia in corso fuori da casa nostra, durata più di mezz’ora. Terminati gli spari i soldati ci hanno chiamati e siamo usciti di casa ad abbracciarli, ma c’erano ancora molti terroristi in giro e quindi siamo rientrati nella stanza sicura. Alle quattro del mattino ci hanno portato fuori dal kibbutz, e solo allora ci siamo resi conto di cosa era successo davvero».
Hamas aveva informazioni precise
A Kfar Aza Hamas ha ucciso 64 persone, ne ha rapite 20 e ha lasciato moltissimi feriti. Giorni dopo l’attacco l’esercito ha trovato in una delle case saccheggiate una mappa del kibbutz e una lista di persone con l’ubicazione delle loro case e il ruolo che ricoprivano. Una delle prime persone a essere trovata e uccisa è stato infatti il presidente del consiglio regionale, Ofir Lipstein, che viveva a Kfar Aza. Informazioni precise e dettagliate, a conferma che le informazioni arrivavano dai gazani che lavoravano in kibbutz.
Il rapimento di Gali e Ziv
Solo una volta al sicuro, fuori dal kibbutz, Ido si è reso conto che i suoi due migliori amici, i gemelli Gali e Ziv Berman, non rispondevano ai messaggi dalla mattina. Erano stati rapiti. «Gali è il più forte e coraggioso, Ziv è più diverente e ironico. Amano il calcio, sono fan del Maccabi Tel Aviv e del Liverpool». Ido mostra la foto dei suoi amici sullo schermo. «Settimana scorsa hanno compiuto 27 anni, abbiamo organizzato per il loro compleanno una festa come sarebbe stata se loro fossero stati a casa». Sullo schermo proietta l’immagine di un tunnel, stretto e angusto. «È un anno che sono prigionieri in un tunnel, con pochissimo cibo e pochissima acqua. Quello che abbiamo passato noi il 7 ottobre è niente in confronto a quello che stanno vivendo loro. La paura di morire che abbiamo avuto il 7 ottobre loro ce l’hanno ogni minuto, da quasi un anno». Ido Fellus si appella quindi ai ragazzi: «Avete un compito: dovete raccontare la loro storia al mondo come faccio io».
Come reagisono le famiglie degli ostaggi
Rispondendo alle domande di studenti e docenti, Ido Fellus racconta che le ultime notizie di Gali e Ziv risalgono a 52 giorni dopo il rapimento, riportate da quegli ostaggi, fra cui 13 persone del kibbutz Kfar Aza, liberati alla fine di novembre 2023. «L’intelligence», prosegue Ido, «fornisce qualche informazione alle famiglia. Sappiamo quindi che Gali e Ziv sono tenuti prigionieri da soli e separatamente, ma non sappiamo dove». Fra le famiglie degli ostaggi ci sono quelle più forti, che girano il mondo, parlano in pubblico, incontrano personalità di tutto il mondo. E poi ci sono quelle per cui i loro cari erano tutto il loro mondo, come la famiglia di Gali e Ziv, i cui genitori sono distrutti e aspettano il miracolo». Il fratello di Gali e Ziv, Liran Berman, parteciperà però all’evento di ricordo del 7 ottobre che si svolgerà nella sinagoga di via Guastalla proprio il 7 ottobre, aggiunge Sylvia Sabbadini.
Il progetto per i giovani del sud di Israele
Un altro compito di cui Ido si è fatto carico è a beneficio dei giovani come lui: insieme al direttore della Reichman University (IDC) di Herzlia, ha avviato il progetto Nitzanim shel Ofir, nel nome di Nitzan e Ofir Lipstein, uccisi a Kfar Aza. Si tratta di borse di studio per incentivare i giovani a tornare a casa nel sud di Israele e permettere loro di fare volontariato sociale nelle loro comunità negli ambiti in cui c’è più bisogno in questo momento: nella ricostruzione delle case, nell’accompagnamento e sostegno delle famiglie dei rapiti. Una parte delle borse di studio possono essere utilizzate dai giovani per realizzare i loro progetti imprenditoriali frequentando i corsi di formazione all’IDC.
L’appello ai ragazzi e il messaggio di speranza
«La mia priorità, l’unica cosa che mi interessa in questo momento, è che Gali e Ziv e tutti gli ostaggi tornino a casa» conclude Ido Fellus. Adesso la politica non mi interessa, di quello che succederà in futuro ne parleremo in futuro. Voi ragazzi dovete avere successo, vivere bene come ebrei nella Diaspora e raccontare quello che sta succedendo in Israele. Dovete essere leader e ricordare che l’unione fa la forza. Sono convinto che gli ostaggi torneranno, che ricostruiremo le nostre case e ricominceremo a vivere».