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Le riflessioni dei ragazzi sui Pirké Avot rivelano il loro mondo etico interiore

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I Pirkè Avòt, tradotto letteralmente “Capitoli dei Padri”, sono una raccolta di insegnamenti etici e di massime della tradizione rabbinica della Mishnà, di cui fa parte come penultimo trattato dell’ordine di Nezikin.
L’unicità dei Pirkè Avòt sta nel fatto che questi trattano esclusivamente di principi etici e morali e quasi non vi si trovano regole.
Per lunga tradizione questo trattato, composto da cinque capitoli di Mishnà più uno aggiunto, viene letto e studiato nelle sei settimane che intercorrono tra le feste di Pèsach e di Shavuòt, dal momento che in questo periodo è opportuno riflettere sui principi morali ed etici che devono caratterizzare la nostra vita quotidiana.

Gli insegnamenti dei Pirkè Avot applicati alla vita scolastica

Anche quest’anno, dunque, abbiamo pensato – con le due classi seconde delle medie – di selezionare alcuni dei capitoli più significativi che sono stati oggetto sia di analisi in modalità frontale che di studio e commento in gruppi di lavoro. Abbiamo quindi richiesto agli studenti di considerare i valori morali ed etici di cui abbiamo parlato, mettendoli in relazione alla loro vita scolastica. Come risultato, abbiamo ottenuto delle riflessioni particolarmente profonde ed appassionate, che dimostrano come i ragazzi, che a volte mostrano atteggiamenti poco rispettosi dell’istituzione scolastica, hanno in realtà un mondo interiore molto ricco che merita di essere ascoltato e sviluppato.
Ecco alcune delle considerazioni più interessanti.

L’importanza di un atteggiamento positivo verso l’altro

Avòt Cap. 1 Mishnà 15: “Shammài diceva: … Accogli ogni persona con il sorriso.”
Commentando questa Mishnà, gli studenti hanno sottolineato come spesso un sorriso può rendere meno pesante la situazione in classe e può anzi agevolare rapporti sereni tra compagni prevenendo problematiche sociali. A livello pratico è emerso quanto sia importante l’ascolto del compagno con atteggiamento positivo e interessato, anche quando questi ci annoia, poiché comportamenti simili solidificano i rapporti all’interno del gruppo classe e possono contribuire a evitare inutili discussioni. Alcuni hanno interpretato questa parte di Mishnà, evidenziando la situazione in cui qualcuno ci si avvicina per una richiesta e invece che accoglierlo con atteggiamento di noia o superiorità, dovremmo dimostrare pazienza e ascolto, anche al di là della riposta che poi daremo. Altri ancora hanno portato situazioni reali in cui si sono venuti a trovare nel corso dell’anno e hanno citato l’esempio di banali litigi fra compagni sfociati poi in insulti ai quali avrebbero potuto reagire in maniera diversa spegnendo le fiamme invece che alimentarne il fuoco.

Mettersi nei panni degli altri per capirli

Avòt Cap. 2 Mishnà 4: … ”Hillèl diceva: … non giudicare il tuo amico finché non ti troverai al suo posto”…
A questo proposito, è emerso come a volte in classe si giudichino o addirittura si deridano i compagni in difficoltà invece di aiutarli concretamente e – soprattutto – non si cerchino le ragioni del loro disagio; la Mishnà infatti intende metterci in guardia dai pregiudizi, invitandoci piuttosto a esaminare la situazione in cui il prossimo si trova. Abbiamo anche chiesto di portare esempi reali di situazioni in cui questo valore non è stato da loro applicato: gli studenti hanno citato il mancato rispetto per il prossimo (compagni di classe e insegnanti), il non essere altruisti e il mancato aiuto al compagno in difficoltà. Come possibile investimento etico per il futuro, abbiamo parlato di come sia invece importante cercare di mettersi nei panni degli altri per comprenderne criticità ed eventuali malesseri.

Tutti hanno qualcosa da dare, bisogna ascoltare per imparare

Avòt Cap. 4 Mishnà 1: “Ben Zomà diceva: chi è il sapiente? Colui che impara da ogni persona, come è scritto: “ho imparato da chiunque mi abbia insegnato poiché le parole della tua Torà sono il mio linguaggio abituale”.
Per questa Mishnà abbiamo scelto la “libera interpretazione”: la lettura, cioè, non è stata preceduta da uno studio con il docente, lasciando alle classi appunto la libertà di commentare senza guida. Anche in questo caso sono emerse riflessioni di grande rilievo; ne riportiamo alcune,
“La sapienza non è un valore assoluto, non è possibile pretendere di sapere tutto; è così che la Mishnà ci insegna che chiunque può darci qualcosa che a noi manca e che ognuno ha qualcosa da dare”.
“Dobbiamo imparare ad ascoltare di più gli adulti e in particolare i nostri genitori e i nostri insegnanti che, al di là del rispetto loro dovuto, grazie alle loro esperienze possono aiutarci a crescere e migliorare”.
“A volte facciamo fatica a mettere in pratica gli insegnamenti degli adulti poiché li riteniamo inutili e noiosi; dovremmo invece essere più attenti perché solo così possiamo incrementare la nostra sapienza”.
“Questa Mishnà insegna l’importanza dell’ascolto e del rispetto nei confronti di chi ci sta parlando; anche se la conversazione ci sembra noiosa, è importante porre attenzione all’altro anche perché potrebbe avere qualcosa da insegnare che non ci aspettiamo”.
“È particolarmente difficile mettere in pratica questo valore morale; spesso riteniamo di sapere tutto, di essere al di sopra di tutto e di tutti, quindi non siamo disposti ad accettare lezioni dal prossimo; una maggiore umiltà, invece, ci aiuterebbe a crescere e a migliorare le relazioni con i compagni”.

Prof. Daniele Cohenca

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