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“Io creerò come parlo”: il potere della parola spiegato ai bambini con il progetto Abracadabra

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Le parole non sono solo suoni: possono costruire, ma anche distruggere. Parte da questo assunto il progetto Abracadabra, che coinvolge da due anni gli studenti delle classi quarte della primaria in un percorso di riflessione sul linguaggio e sulla responsabilità che il suo uso comporta. A guidare i bambini è la morà Elinor, ideatrice del percorso, che spiega: «Il progetto è stato avviato con le quarte già l’anno scorso. Quest’anno abbiamo scelto di riprenderlo dopo Pesach, collegandoci al Pirkei Avot, dove si dice che Hashem ha creato il mondo con dieci frasi. Questo ci ha permesso di introdurre i bambini e le bambine all’idea che anche noi, come esseri umani, condividiamo questo potere: la parola è strumento di creazione quotidiana».

Verba volant? Non proprio


Il primo incontro è stato una riflessione generale sul Pirkei Avot, su Hashem che ha creato il mondo con la parola, quindi sul potere della parola e la necessità di usarla con attenzione. Nel secondo incontro, le classi si sono concentrate sul detto latino verba volant, scripta manent. I bambini hanno discusso se fosse vero che solo ciò che è scritto resta. Per far sperimentare il concetto in modo tangibile, la morà Elinor ha proposto un’attività: «Ho dato a ciascuno e ciascuna due post-it. Sul primo dovevano scrivere una frase positiva che qualcuno aveva detto loro anni prima; sul secondo, una negativa. Il post-it con le parole belle l’hanno incollato sul cuore. Quello con le parole brutte, sul retro della schiena». I bambini si sono resi conto che, anche se dette tanto tempo fa, le parole restano. La conclusione è stata che le parole si appiccicano addosso, proprio come i foglietti.

Le tre domande di Socrate, versione bambini

Nel terzo incontro, l’attenzione si è spostata su come scegliere cosa dire e cosa no. «Le parole sono importanti, ma allora come faccio a decidere se pronunciarle o meno? Ho chiesto  a bambini e bambine di pensarci e, a partire dalle loro proposte, siamo arrivati a formulare tre criteri fondamentali: se ciò che voglio dire è vero, se è utile e se è detto in modo gentile. Esattamente i tre setacci di Socrate». Da lì sono partite le simulazioni di situazioni concrete. Per esempio: un compagno ha una macchia sulla maglietta, e sta per partecipare a una riunione importante. Glielo si fa notare o no? I bambini hanno discusso: se non può cambiarsi, forse dirglielo non serve, potrebbe solo farlo sentire a disagio. Ma se si può aiutarlo, magari prestandogli una maglietta, allora sì, vale la pena dirlo. Ma come lo si dice? Davanti a tutti o in privato? Così sono stati messi in pratica i tre setacci.

Una penna magica per parole gentili

Per concludere il percorso, ogni bambino ha creato una “bacchetta magica delle parole gentili”. «In realtà è una penna Bic trasparente, ma l’abbiamo trasformata», spiega Elinor. «All’interno bambini e bambine vi hanno inserito un foglietto con le parole gentili che conoscevano. Poi hanno decorato la penna, che è diventata il simbolo del loro impegno. La portano a casa come promemoria: ogni parola è importante». Infine, il significato del nome del progetto: Abracadabra. È nota come formula magica, ma molti non sanno che potrebbe derivare dall’aramaico Avrah KaDabra, che significa “io creerò come parlo”. «È questo il messaggio che abbiamo voluto lasciare: se parlo con attenzione, creo qualcosa di buono. Se parlo senza pensarci, rischio di distruggere». La parola è una magia, ma anche una responsabilità.

Claralinda Miano

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