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La Resistenza a Milano: il docufilm di Ruggero Gabbai fra storia e attualità in un dibattito con gli studenti

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Gli studenti del triennio superiore hanno assistito la scorsa settimana alla proiezione di I luoghi della Resistenza a Milano, il nuovo documentario diretto da Ruggero Gabbai e voluto da Adei Wizo Milano. «Il film è stato pensato per voi ragazzi» ha sottolineato la presidente Sylvia Sabbadini aprendo l’incontro. «Siete i primi a vederlo, ma da gennaio lo porteremo nelle scuole di tutta Italia». Obiettivo del film è restituire ai ragazzi la consapevolezza dei luoghi dove ogni giorno camminano, piazze e vie di Milano che custodiscono una storia che ormai pochi ricordano.

Luoghi e narratori del documentario

Il documentario conduce lo spettatore nei principali luoghi simbolo della lotta milanese al nazifascismo, raccontati da narratori d’eccezione. Roberto Cenati, storico e già presidente Anpi, mostra le 19 lapidi che in piazza dei Mercanti commemorano i caduti per la libertà (partigiani, antifascisti, oppositori politici e lavoratori) e, in via Silvio Pellico, l’edificio che ospitava l’Albergo Regina, quartier generale delle SS a Milano. Mino Chamla, docente di storia e filosofia, racconta che il Piccolo Teatro era allora sede della Legione Ettore Muti, famigerato corpo militare della Repubblica Sociale Italiana che catturava ebrei e oppositori e qui li torturava. Liliana Picciotto, ricercatrice e storica, spiega che il carcere di San Vittore era il luogo dove ebrei e oppositori erano detenuti prima di essere deportati nei campi tedeschi, mentre lo studente universitario Pietro Balzano si sofferma sull’Ospedale Niguarda, che ospitò una cellulla partigiana e dove medici e infermiere organizzavano fughe di ebrei e antifascisti. Il film si conclude alla Stazione Centrale, dove Alessandra Jarach, guida del Memoriale della Shoah, spiega che la parte di stazione adibita al trasporto merci (oggi sede del Memoriale) era usata per i treni che trasportavano i deportati ad Auschwitz. Il film è un percorso di memoria civile che Adei Wizo ha fortemente voluto per ribadire che la Resistenza è patrimonio comune: dei milanesi, degli italiani, delle donne e degli ebrei italiani, parte integrante della storia nazionale.

Lo studio come antidoto alle menzogne

A introdurre il dibattito che ha seguito la proiezione è stato Mino Chamla, che ha richiamato la dimensione personale e collettiva del lavoro di Ruggero Gabbai passandogli la parola; Gabbai ha parlato ai ragazzi del rapporto tra cinema, memoria e impegno: «Sono cresciuto a pane e antifascismo in un mondo che — pur diviso — era decifrabile. Oggi per voi lo è molto meno. Media, social media, web, tanti stimoli dove non si capisce più cosa è vero e cosa è falso». Il regista ha richiamato l’importanza dello studio come antidoto alle menzogne storiche facili da diffondere, suggerendo ai giovani di approfondire, di interessarsi, di capire ciò che succede nel mondo perché la loro identità ebraica in questo momento storico li rende vulnerabili.

La Resistenza: libertà per sé e per gli altri

Roberto Cenati ha spiegato ai ragazzi che la Resistenza non è stata un fenomeno monolitico, ma un moto popolare che ha unito partiti politici diversissimi, operai, donne, oppositori politici, ebrei. «La Resistenza ha liberato tutti» ha detto Cenati, ricordando che la libertà non è il diritto di fare ciò che si vuole, ma l’impegno per la libertà degli altri. «Si vive davvero solo se si riempie la propria vita di valori: libertà, antifascismo, lotta al razzismo e all’antisemitismo». Poi un’analisi sull’oggi, con l’invito a esercitare il senso critico e a diffidare di chi cerca di convincerci con strumenti diversi dalla ragione, mettendo in guardia i ragazzi dal pensiero unico veicolato dai social. Cenati ha anche raccontato le ragioni delle sue dimissioni dall’Anpi: la posizione filo-russa dell’associazione sul conflitto in Ucraina e l’accusa di genocidio rivolta a Israele dopo il 7 ottobre. «È un parallelo allucinante che alimenta l’antisemitismo» ha detto, ricordando che Hamas mira alla distruzione degli ebrei e dello Stato di Israele.

Memoria come confronto, non come rituale

Alessandra Jarach ha portato la voce del Memoriale della Shoah, luogo simbolo da cui partivano i convogli della deportazione. Ha chiesto ai ragazzi di non limitarsi ad ascoltare, ma di diventare soggetti attivi della memoria: fare domande, prendere la parola, sviluppare il pensiero critico. La memoria, ha spiegato, non è solo ricordare: è scegliere di non voltarsi dall’altra parte, nella vita quotidiana come nelle sfide del presente.

Storia e attualità: il contributo ebraico alla libertà italiana

Il contributo ebraico alla storia e alla libertà dell’Italia è stato l’aspetto su cui si è concentrato l’intervento di Daniele Nahum, consigliere del Comune di Milano, che ha ricordato come molti ebrei presero parte attiva alla Resistenza, contribuendo poi alla stesura della Costituzione repubblicana, e che gli ebrei sono stati da sempre protagonisti della vita culturale e politica italiana. Le sue riflessioni hanno collegato ieri e oggi: il rischio di ripetere errori già visti, come la conferenza di Monaco nel 1938 con cui le potenze democratiche avallarono l’annessione di parte della Cecoslovacchia da parte della Germania nazista; la riduzione negli ultimi trent’anni del numero di democrazie nel mondo; la fragilità delle istituzioni internazionali; il ribaltamento della narrazione pubblica in cui lo slogan “dal fiume al mare” è usato per delegittimare il sionismo e presentare gli ebrei come corpo estraneo alla storia italiana. «Il sionismo nasce anche dalla tradizione del Risorgimento italiano» ha ricordato. «Non possiamo permettere che venga distorto o demonizzato». E ha lanciato un appello agli studenti: combattere la disinformazione grazie allo studio, soprattutto negli ambienti dove la confusione storica si diffonde con maggiore facilità, come le università.

Il corto circuito che capovolge il significato di una parola storica

Il dibattito si è acceso con le domande degli studenti. Una in particolare ha fatto emergere il nodo centrale del confronto: “Perché oggi quelle di Hamas vengono chiamate azioni di resistenza?”. Nahum e Cenati hanno risposto che questo slittamento semantico è particolarmente pericoloso: è un “corto circuito” intellettuale che capovolge il significato di una parola storica come Resistenza trasformandola in strumento di legittimazione per atti che non rispondono ai criteri morali e storici della lotta per la libertà. Il documentario è dunque un’opera pensata per contrastare questo corto circuito: non solo per conservare la memoria, ma per restituire vocaboli e concetti alle loro giuste definizioni, spiegando che la Resistenza è stata una lotta per la libertà di tutti, combattuta anche dagli ebrei. Un modo, come afferma l’Adei, di riappropriarci della nostra storia in un momento in cui il negazionismo contemporaneo la sta snaturando.

Claralinda Miano

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Alberto Jona Falco

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