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Il nuovo laboratorio teatrale per imparare empatia e relazioni con il linguaggio del corpo

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«Il nostro corpo è uno straordinario strumento di comunicazione e relazione. Spesso lo dimentichiamo, bombardati come siamo da parole e immagini. Ma l’espressione fisica è la base del nostro relazionarci con gli altri». Così il regista David Maden sintetizza il senso del lavoro teatrale che sta conducendo quest’anno con le cinque classi della secondaria di primo grado.

Un lavoro nuovo con un nuovo regista-formatore

Il progetto, finanziato dalla Fondazione Scuola, ha visto gli studenti impegnati nel laboratorio teatrale un’ora la settimana per cinque settimane, a novembre e dicembre. Per David Maden è la prima volta alla Scuola Ebraica: triestino, si è diplomato alla Scuola del Piccolo Teatro diretta da Luca Ronconi e ha lavorato al Piccolo Teatro, poi con la Compagnia Lombardi-Tiezzi e l’Associazione Teatrale Pistoiese e infine con la Compagnia Elledieffe e il Teatro di Napoli. Collabora con compagnie teatrali indipendenti, ha partecipato a film e serie tv e registrato alcuni audiolibri. Nella sua attività di formatore, collabora con Accademia09 e Teatri Possibili di Milano come insegnante di recitazione, e con Teatrodistinto per la conduzione di laboratori nelle scuole.

Il teatro per consolidare il gruppo e l’individuo

«Rispetto agli anni scorsi, il lavoro con Maden è più incentrato sulla fisicità» conferma Stefania Sciama, la docente referente del progetto. «Gli esercizi e le improvvisazioni in gruppo richiedevano sinergia nei movimenti e quindi attenzione agli altri e a quello che facevano. Questo tipo di lavoro supporta il nostro di insegnanti quando insistiamo sul gruppo-classe, sull’ascoltare il compagno, sull’aiuto, il sostegno e la collaborazione reciproca. È un’attività che, insieme all’orientamento e agli interventi della psicologa, è mirato a consolidare il gruppo e l’individuo» spiega Stefania Sciama. «In uno degli esercizi, per esempio, un ragazzo con gli occhi chiusi si lasciava cadere fra le braccia dei compagni che, stretti in cerchio intorno a lui, dovevano sostenerlo. Se il gruppo è omogeneo e attento tutto funziona, il ragazzo al centro si fida, sa che sarà sostenuto. Ma se qualcuno si distrae o chiacchiera l’esercizio fallisce, il ragazzo al centro rischia di cadere, si compromette la concentrazione e il benessere di tutti».

Gli esercizi di relazione e rispetto per l’altro

Il metodo di David Maden non necessita l’adesione a un modello recitativo, perché il lavoro si svolge attraverso l’improvvisazione e il gioco scenico, nell’assenza di giudizio e, anzi, nell’accettazione dei limiti di ognuno come fonte di potenzialità. «Uno degli esercizi più interessanti si è svolto a coppie dove, partendo da un’immagine che si erano dati, uno studente era lo scultore e l’altro la scultura» racconta Maden. «Lo scultore doveva ricreare l’immagine attraverso il corpo del compagno, toccandolo e muovendolo: questo mette in moto una serie di meccanismi di relazione fisica, che non è mai scontata. Lo scultore deve capire come posizionare il compagno per esprimere qualcosa, ma deve allo stesso tempo rispettarne il corpo. Il compagno invece deve essere disponibile a essere plasmato secondo la creatività dello scultore».

L’improvvisazione scenica per sviluppare il senso di empatia

La parola, in questo tipo di laboratorio teatrale, arriva dopo avere preso confidenza con la fisicità, propria e degli altri. «Oggi per esempio abbiamo lavorato sulla parola attraverso una specie di doppiaggio» dice Maden. «Una coppia di studenti improvvisava fisicamente una scena e altri due studenti dovevano dare voce ai loro movimenti ed espressioni. Un esercizio del genere, dare voce al corpo dell’altro, richiede un certo grado di empatia per capire ciò che l’altro vuole esprimere. Dico sempre ai ragazzi di osservare gli altri nella vita quotidiana – per strada, al bar, alla fermata dell’autobus – e chiedersi come si sentono o cosa stanno pensando. Lo scopo è indurli a vedere l’altro, entrare empaticamente in relazione con lui o, comunque, porsi il problema dell’altro. Nemmeno questo è mai scontato».

Claralinda Miano

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Alberto Jona Falco

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